L’intreccio infinito

di Alda Sgarro

È davvero possibile sfiorare per un attimo il senso della vita e dell’universo intero e coglierne l’essenza nelle opere di un’artista? Questa è la sfida che Lucia Caricone ha deciso di lanciare con la sua produzione artistica, che spazia dalla pittura alla scultura, proponendo un’originale fusione tra arte visiva e musica: ogni opera è al tempo stesso strumento singolo con la sua melodia, e parte di un tutto, l’orchestra.

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Su ciascuna si stende l’intreccio di linee, ideali pentagrammi, che corrono decise, curvandosi, incrociandosi o disegnando spirali. A completare lo scenario i colori, che partendo dalle tinte del nero e dell’argento, proseguono risplendendo nei toni dei gialli e dei bianchi “lunari”, toccando la passione dei rossi per poi sprofondare negli abissi del blu e volare nei cieli dell’azzurro.
La melodia che si materializza davanti agli occhi racconta il senso della vita sin dalla sua creazione, che ha origine da un materiale inerte, apparentemente morto, quale la polvere di marmo che l’artista utilizza per realizzare la sua originale miscela. Poi improvvisamente una linea inizia il suo cammino diventando al momento stesso punto di partenza e ricordo lontano. La riflessione profonda di Lumetta prende così corpo, la sua mano veloce e decisa disegna la trama, le linee si incrociano e si incontrano, nell’intreccio infinito, scambiandosi emozioni e esperienze, per poi proseguire ognuna per la sua strada.
Ogni opera di Lumetta sembra dunque arrestare il flusso del tempo fissando, come in una fotografia, il passato il presente e il futuro, finalmente fusi in un unico ed eterno istante. La vita di ognuno di noi, con l’infinità di scelte possibili e l’eterno scontro tra il “libero arbitrio” e il Caso, è racchiusa così in ogni tela e in ogni scultura. La rottura intenzionale delle gabbie della bidimensionalità permette l’immersione senza soluzione di continuità nel mondo reale e la creazione con esso di un legame invisibile ma indissolubile.
“Musica” è forse l’opera che più di tutte comunica con assoluta immediatezza il messaggio che l’artista vuole trasmettere: in essa il tempo regna sovrano e si può quasi percepire con l’orecchio il suo battito, inesorabile e inarrestabile, come quello della vita. I nastri sinuosi che da essa si dipartono rappresentano invece l’anima che si espande capricciosa nello spazio circostante, incurante di una “griglia” regolare che le appare troppo stretta. Nessun limite spaziale può esserle imposto: la scultura sembra quasi “sfilacciarsi” e perdersi in una dimensione “altra” che ha assunto ormai i tratti dell’indefinito.
Ci sembra dunque di poter affermare che l’artista Lumetta ha vinto la sua sfida: la sua arte è viva, supera i limiti spazio-temporali imposti dalla materia per penetrare in un mondo extra-sensoriale, sfiorando per un attimo, ma senza mai afferrarla del tutto, l’essenza dell’universo, del genere umano e della vita di ognuno di noi.

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L’arte come processo

di Alfonso Maria Palomba

Lucia Caricone, talentuosa pittrice carapellese, per natura non è mai paga dei risultati conseguiti, ma è continuamente protesa verso la ricerca di modi sempre nuovi e tali da interpretare in modo pregnante ed incisivo il rapporto dall’artista stabilito di volta in volta con il proprio tempo, vissuto sul versante psicologico come evoluzione di sé in progress e su quello sociale come ermeneutica della realtà circostante. L’arte, in vero, di Lucia Caricone – dalle sue prime prove a quelle della maturità di oggi – non è mai fuggiasca dalla vita, anzi l’artista si nutre di essa e ad essa si avvicina con curiosità intellettuale, con lo spirito di un’ avventura grandiosa per unicità e significato.

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L’arte, però, per Lucia Caricone non è mai pura imago di ciò che è, fotografia dell’esistente o mera rappresentazione della realtà fenomenica, bensì è vissuta come possibilità di guardare la natura e gli eventi con occhi nuovi,di <> con gli oggetti del reale, di vivere e di guardare con intima adesione la materia trattata: Lucia Caricone, in altri termini, non <> né si mimetizza nelle sue opere, ma, sorretta dalla sua fine sensibilità a piene mani trasfusa in tutti i segmenti del suo percorso professionale, sa dare <> – la sua <>, le sue emozioni, i suoi aneliti, le sue speranze – all’intera sua produzione artistica, fatta di quadri, di sculture e di <>, attraversate tutte da una sorta di <>, da una specie di filigrana che accomuna le opere della poliedrica artista carapellese, tanto da farle diventare pagine
di un unico libro dai mille colori e pluridimensionale ad un tempo. La versatilità creativa, infatti, coniugata alla ricerca continua, costituisce la cifra interpretativa, oltre base fondativa, dell’arte di Lucia Caricone, oggi collocabile lungo la traiettoria di una climax ascendente innervata nell’idea del miglioramento in fieri, che ha dentro di sé il principio della progressività e della prossimalità: sa l’artista carapellese agire per graduali e flessibili conquiste ed è capace di saper cambiare, di sapersi valutare, di migliorarsi a mano a mano che si fa più urgente dentro di lei l’esplorazione del nuovo. In questo senso il miglioramento diventa anche incessante sperimentazione di territori
artistici sempre nuovi, sostenuta da una cultura della ricerca di soluzioni originali e marcatamente personali. Così, dopo una fase iniziale (cfr. l’antologia delle opere esposte a Foggia, presso la << Sala Propilei>> della villa comunale, dal 5 al 13 febbraio 2000), in cui Lucia Caricone ha dato prova non solo di essere in grado di ri-generare il dato esperienziale sulla scorta di una <> personale che riesce a raggiungere le radici dell’umana consistenza, ma anche
di saper prestare ascolto all’irrompere della storia nel suo microcosmo esistenziale ( cfr. il trittico “Libertà”, “La piccola tessitrice”); dopo una fase intermedia (cfr. la mostra tenuta a Foggia,presso Palazzo Dogana, dal 12 al 24 gennaio 2008), caratterizzata da quella che Gaetano Cristino ha chiamato “la magnificazione della natura”,scintillante di luci e di colori legati agli elementi naturalistici raffigurati; ecco oggi Lucia Caricone alle prese con le <>, originali forme d’arte per le quali ha ricevuto consensi diffusi. Fra i tanti riconoscimenti ricevuti mi piace qui ricordare il traguardo conseguito a Giovinazzo (Ba) dall’artista carapellese, che dal novembre scorso è legittimamente iscritta nell’albo d’oro del premio nazionale Natiolum (vedi l’immagine accanto). Si tratta di un’opera particolarmente significativa non solo per la forma artistica, ma anche per il tema trattato.

 

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Lumetta: la fitta trama della percezione

di Daniele Nardiello

Osservare le opere di Lumetta equivale ad un viaggio sentimentale dal reale verso l’iperreale, ovvero la conquista percettiva di una realtà che si accresce, motivandosi ed arricchendosi della dimensione spirituale.

Lucia Caricone, Lumetta, è un’artista pugliese che parte dalla passione, dal bisogno travolgente di tradurre in espressione figurativa l’osservazione della natura, per poi formalizzare, tecnicizzare, sistematizzare la sua ispirazione in un costrutto solido, elegante, originale. Le sue composizioni sono i frutti stessi del fertile terreno artistico, ma rappresentano nel contempo il nutrimento della matrice incorporea, che trascende la natura cellulare, per sublimarsi nei campi eterei dell’immateriale, dell’inconscio emotivo. Dalla rappresentazione equilibrata all’impulso plasma-fantasmagorico il passo è fin troppo breve. Gli alberi scheletrici, scarni nella loro viscerale ramificazione, preludono alle stilizzazioni incurvate, alle figure spiralizzate, sculture che sembrano nascere spontaneamente dai vortici della materia. Metalli conduttori di energia vitale, che plasmano figure dinamiche, che tuttavia emanano istanti di riflessione, riverberi di vite vissute, rifrazioni di passioni lontane.

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A metà strada tra pittura e scultura, gli intrecci si sublimano nelle tecniche miste su tela. Attraverso la sericità tangibile dei filati polimaterici si estrinsecano i percorsi emozionali apparentemente ordinati, ma realmente imprevedibili. Si dipanano nei tratti e nelle volute, quasi a voler intrappolare i frammenti della realtà, osservata attraverso filtri pressocchè monocromatici. Bagliori improvvisi generano fusioni di luci e forme; suggestive convoluzioni si intersecano nei paesaggi arcani, evocativi di incroci metropolitani super-dimensionali; giochi spaziali si flettono nelle infinite sfaccettature della coscienza allargata.

Il nome Lumetta ci evoca un’immediata assonanza con “lumen”, dal significato di “luce”, ma anche suggestivo di “conoscenza”, di “sapere”. La carriera di un artista, infatti, è quasi sempre un percorso evolutivo, ma anche conoscitivo, didascalico, sperimentale. Prende le mosse dall’osservazione stupefatta della natura esteriore, per poi ripiegarsi, avvilupparsi, contorcersi nel brulicante mondo delle idee, delle emozioni, dei sentimenti, dei ricordi, della più recondita interiorità.

“Se si rischiarassero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essa veramente è, infinita”. William Blake (1757-1827), poeta, artista e incisore inglese.

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Da un campo di grano nasce la forma

di Mirella Casamassima

I monocromi di Lumetta, pur partendo da tracce figurative, alberi e spighe, entrano nella poetica dell’Informale. La materia diventa protagonista e la texture rivela la sua essenza. Pittura aggettante, a rilievo, sempre in conflitto con una bidimensionalità limitante. La stesura pittorica immerge in sé spaghi, cordoni, filamenti, ma soprattutto trame di tela quadrate, romboidali, compatte o sfrangiate. Il processo sembra capovolgere la tradizione del fare pittura: qui la tela inverte il proprio ruolo di supporto e diventa immagine, forma, non più nascondendosi, ma portandosi in primo piano, per rilevare, di se stessa, la sua più intima struttura, nelle variabili della texture.

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Come nell’Informale: dalla materia stessa nasce la forma attraverso un processo non di diversa qualità pittorica, non di stesure diverse di pennello, ma grazie ad un’unica stesura materica, monocroma, che genera la forma solo attraverso i differenti strati quantitativi di pittura… la lezione delle hautes pates è viva. La tela che da sempre nella tradizione storica della pittura, a trama fitta o larga, ha avuto una funzione di supporto, ora, in qualità di brano oggettuale, di tramatura materica scomponibile, si porta in primo piano, e rivela allo spettatore i segreti della sue strutture più intime e segrete.

Così, non sembri strano se Lumetta si muove contemporaneamente sul piano della pittura e della scultura, lavorando anche sul tema delle installazioni.

Qui il filo di ferro compone corpi umani e oggetti, in miniatura o dalle dimensioni reali, creando scene quotidiane che in sé conservano, a volte, il ricordo dei calchi di Segal, privi, però, di quel lontano carattere spettrale americano, ma fluidi e ironici.

Non scultura di pieni, bensì di vuoti, fatta di punti e linee: la linea si torce, corre decisa incrociandosi in punti definiti con le altre linee, formando così volumi, corpi…umani intenti nelle più disparate situazioni quotidiane. La linea prolifera anche all’interno di provette, piccoli corpi chiusi sottovetro, e ovunque si spande un’umanità disegnata ma tridimensionale.. strutture, ancora una volta, anime interne della scultura.

Fantasmiche, talvolta, le figure: l’uomo legge un libro dalle pagine bianche…le parole sono cadute per terra, si sono divise in lettere sparse, impossibile ricostruire frasi, messaggi, storie…lettere cadute, anche loro ricondotte al primario ruolo di strutture formali, alfabeti, grammatiche.

Destrutturazione e decodificazione della frase, del messaggio semantico e, quindi, ancora una volta, strutture primarie, lettere e alfabeti, come i punti, le linee, la materia: veri protagonisti dell’immagine visiva di Lumetta.

 

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Mutamenti – Concetti spaziali

di Rosa Didonna

Caricone Lucia, in arte “Lumetta” nata a Carapelle (Foggia), laureata in Arti visive e discipline dello spettacolo nel corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Foggia è stata accuratamente selezionate dalla gallerista Rosa Didonna, curatrice di numerose mostre, artista e direttrice della galleria d’arte contemporanea Globalart.

Le opere dell’artista destano un confronto tra tecniche miste, pittura, e sculture, ognuna con specifica invenzione scultorica-pittorico-plastica, richiamo di gradi più avanzati della ricerca artistica di mutamenti. Burri e Fontana hanno la particolarità di due poetiche distinte e diverse fra loro ma, restano entrambi avvinti alla tela.

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La materia di Burri e la concezione spaziale di Fontana affrontate dalle generazioni degli artisti minimalisti e dell’arte povera sino ai protagonisti dell’arte dell’environment e della scultura en plein air, diviene studio e ricerca dell’artista Lumetta. Così, se per Burri la materia è stata di volta in volta ‘presentata’ nelle elaborazioni dei “Catrami”, dei “Sacchi”, delle
“Plastiche”, delle “Combustioni”, dei “Ferri”, dei “Cellotex”, dei “Cretti”, fino allo straordinario “Cretto di Gibellina” per Fontana l’assidua definizione della spazialità avviene sotto il segno dei suoi “Concetti spaziali”, siano essi le sculture del ’47 o i “Buchi” e i “Tagli _ Attese” degli anni tra il ’49 e il ’58, oppure gli “Ambienti”, le “Nature”, i “Quanta” e i “Teatrini” e altre creazioni in metallo o al neon .Tutti percorsi che conducono alla ricerca artistica della stessa. La personale di Lumetta alla Globalart è impostata verso l’osservazione spaziale delle opere ideate per la proiezione di “immagini quasi luminose in movimento”. Un altro percorso parallelo è dedicato alla pittoscultura.
Approfondimento sempre in continua ricerca sperimentale delle fasi preliminari di studio dell’opera dei grandi maestri dell’arte.

 

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Gestualità e pensiero creativo

di Giovanni Masiello

Tre sono gli elementi fondamentali in questa produzione di Lucia Caricone, in arte Lumetta: la materia, il ruolo fondamentale della luce e l’assenza totale del colore.
La materia che Lumetta utilizza è un impasto di polvere di marmo che l’artista lascia cadere sulla tela, da lei stessa preparata seguendo un lungo procedimento attraverso degli stecchi di legno e con una gestualità ed una ritmicità scientifica. Una fitta rete di linee curve, di spirali che si incrociano ed intersecano dà vita alle diverse figurazioni da lei create. Quello che ne vien fuori è una iconografia cosmologica, vortici che alludono a forze centrifughe e centripete che danno vita ad uno spazio imprendibile, generatore di un dialogo continuo tra fisicità ed immaterialità.

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Le linee di Lumetta, seguendo la lezione di Roberto Crippa, possiamo leggerle come la possibile rappresentazione di un movimento assimilabile a quello delle particelle di materia lanciate nel vuoto cosmico.

Ruolo fondamentale gioca, in queste opere, la luce: colpite da un fascio luminoso, queste opere vivono di una vita nuova, vibrano di emozioni. La centralità della luce è sottolineata dalla scelta stilistica dell’eliminazione totale del colore. Sono opere monocromatiche bianche (diretto il richiamo a Manzoni, Fontana, Schifano): questa scelta, a mio avviso ha il duplice scopo di esaltare una concezione spaziale pura che va oltre i limiti bidimensionali della tela, e dall’altro lato, quello di eliminare ogni artificio formale per arrivare all’essenza pura del principio creatore.

Concludendo, le opere di Lumetta, si presentano come l’espressione di quel gesto, di quella azione creativa che attinge la sua forza, il suo nutrimento dal pensiero trascendentale dell’artista.